Una recente sentenza del Tribunale di Monza emessa il giorno 8 luglio del 2022 n. 1593/2022 è intervenuta, fornendo spunti interessanti, sulla annosa e “famigerata” questione legata alla sorte degli impegni assunti in forza di una fideiussione che contenga clausole aventi un contenuto simile a quello del modello elaborato dall’ABI. Vale allora la pena di compiere alcune sintetiche riflessioni, partendo dall’inquadramento della questione per poi considerare il contenuto specifico della sentenza.

  1. La condotta anticoncorrenziale. La vicenda trae origine dal fatto che nell’ottobre del 2002, l’ABI (Associazione Bancaria Italiana) ebbe a predisporre uno “schema negoziale tipo” per la fideiussione a garanzia di operazioni bancarie, questo fu comunicato alla Banca d’Italia che all’epoca svolgeva funzioni antitrust in relazione al settore bancario[1]. Questa (col provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005) concluse che tale schema presentava alcune clausole, in particolare quelle di cui agli articoli 2 (clausola di reviviscenza), 6 (clausola di sopravvivenza) e 8 (rinuncia al termine decadenziale di cui all’art. 1957 c.c) idonee a restringere la concorrenza. In particolare, laddove vengano applicate in modo diffuso, sono da considerarsi in contrasto con la Legge Antitrust n. 287 del 1990, il cui art. 2 vieta le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare la concorrenza. Tale norma nel disporre che gli accordi vietati sono nulli non ha ritenuto riferirsi solo alle “intese” in quanto contratti in senso tecnico ma a qualsiasi condotta volta a realizzare la distorsione della concorrenza, tanto che la tutela è stata riferita anche alle ipotesi in cui l’impresa che ha stipulato un contratto a valle con il consumatore, non abbia partecipato all’intesa a monte.

In buona sostanza è sufficiente che abbia inteso approfittare della stessa.

  1. La nullità riguarda solo le clausole censurate dall’ABI. Un’altra discussione ha riguardato la determinazione del perimetro della nullità, essendo sorto il dubbio se la stessa debba riferirsi alla totalità della fideiussione oppure solo alle clausole oggetto del provvedimento della Banca d’Italia. Tale seconda interpretazione che individua la nullità parziale ai sensi dell’art 1419 del codice civile ha avuto il sopravvento[2]. Sul ragionevole presupposto che il contratto sarebbe comunque stato sottoscritto anche in assenza delle clausole contestate, di certo il garante non può lamentarsi del fatto che la fideiussione sia depurata da disposizioni per lui lesive. D’altro canto la banca ha interesse a mantenere in essere la fideiussione seppur limitata nella sua efficacia. Si osservi che secondo la prevalente giurisprudenza[3] è posto a carico di chi ha interesse a delineare la nullità dell’intero contratto l’onere di fornire la prova dell’interdipendenza tra le clausole in oggetto e l’intero contratto (o nel caso la fideiussione) tale da escludere che in mancanza di queste vi sarebbe stata la sottoscrizione.
  2. Le ricadute sui singoli contratti. Definita l’illegittimità della condotta sotto il profilo della disciplina concorrenziale si tratta di comprendere quale ricaduta abbia sulle fideiussioni stipulate a valle. La giurisprudenza all’inizio ha escluso una tutela ai consumatori, per poi ammetterla ma solo di tipo risarcitorio. Salvo riconoscere una tutela reale, con conseguente nullità dell’accordo fideiussorio, sul rilievo che la tutela della libertà di concorrenza deve avere come destinatari chiunque abbia un interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo del mercato. Non v’è dubbio che il contraente finisce col soffrire degli effetti della limitazione delle tipologie di fideiussioni conseguente all’accordo[4], posto che il soggetto che necessita di essere garantito e quindi di conseguenza il garante, non possono individuare la soluzione ritenuta più proficua. Si noti che secondo la giurisprudenza il far valere la nullità ha ricadute positive non solo nell’interesse esclusivo del singolo, bensì in quello della trasparenza e della correttezza del mercato, così collegando l’azione (amministrativa) a monte e quella (civilistica) a valle. In buona sostanza i contratti a valle di accordi contrari alla normativa antitrust partecipano della stessa natura anticoncorrenziale dell’atto a monte, e vengono ad essere inficiati dalla medesima forma di invalidità[5]. Tanto che la giurisprudenza ha affermato che “teorizzare la profonda cesura tra contratto a monte e contratto a valle, per derivarne che, in via generale, la prova dell’uno non può mai costituire anche prova dell’altro, significa negare l’intero assetto, comunitario e nazionale, della normativa antitrust, la quale (4 è posta a tutela non solo dell’imprenditore, ma di tutti i partecipanti al mercato”[6]. Un ulteriore elemento è dato dal peso attribuito agli accertamenti compiuti dalla Banca d’Italia ai quali è riconosciuta una elevata attitudine a provare tanto la condotta anticoncorrenziale, quanto l’astratta idoneità della stessa a procurare un danno ai consumatori e consente di presumere[7].
  3. La sentenza del Tribunale di Monza, la rilevanza del nesso di causalità. Può tranquillamente affermarsi che ci si trovi di fronte ad un quadro non certo favorevole alle banche che rischiano di vedere invalidate, quasi in modo automatico, le clausole fideiussorie. Resta tuttavia da compiere una riflessione nella quale si inserisce la sentenza qui considerata, che ha l’indubbio merito di raccordare il quadro giurisprudenziale formatosi in relazione alla specifica questione fin qui analizzata con alcuni fondamentali principi: ci si riferisce all’onere della prova al nesso di causalità. La sentenza in oggetto[8] parte dal rilievo che “la violazione della normativa anticoncorrenziale costituisce un fatto ulteriore e distinto rispetto al contenuto delle singole clausole che restano di per sé valide e legittime, poiché relative a norme derogabili”. Deve infatti osservarsi che le clausole non presentano intrinseci profili d’illegittimità rapportabili al loro contenuto, le censure derivano dalla loro applicazione “diffusa” che ha impedito al fideiussore di effettuare una scelta libera tra le possibili alternative. In mancanza di un’applicazione massiva e quindi idonea ad impedire una scelta del modello di fideiussione ci si troverebbe di fronte ad un legittimo rapporto contrattuale. Da qui la necessità di accertare che all’epoca della firma della garanzia mancasse questa libertà di scelta giacché altrimenti verrebbe meno il nesso causale tra la condotta posta in essere a monte (l’attività dell’ABI) e la fideiussione stipulata a valle. In buona sostanza deve accertarsi che la limitazione della concorrenza debba sussistere anche al momento della stipula dell’accordo altrimenti il nesso di causalità sarebbe inesorabilmente interrotto. Al riguardo nei casi (come quello oggetto dell’odierna attenzione) in cui la garanzia sia stata sottoscritta successivamente all’ accertamento della Banca d’Italia non potrà farsi automaticamente riferimento a questo che si riferisce ad un diverso periodo storico, al contrario la situazione dovrà essere dimostrata. La sentenza ricorda che: “D’altronde, perché il meccanismo dell’invalidità derivata possa trasmettersi dalla violazione anticoncorrenziale ai sottostanti contratti a valle è necessario accertare preliminarmente l’esistenza di un nesso di stretta interdipendenza con l’intesa a monte idoneo ad incidere sulla regolare dinamica della contrattazione individuale ed elidere la libertà negoziale dei singoli contraenti”.
  4. La sentenza del Tribunale di Monza, l’onere della prova. Ulteriore conseguenza di questa ricostruzione è l’allocazione dell’onere della prova in capo al soggetto che fa valere in giudizio una pretesa, nel rispetto del principio fissato dall’art 2967 del codice civile, principio correttamente fissato dalla sentenza in esame anche nel rispetto della giurisprudenza della Cassazione[9] secondo la quale “compete all’attore che deduca un’intesa restrittiva provare il carattere uniforme della clausola che si assuma essere oggetto dell’intesa stessa”. Nel caso di specie l’onere deve essere posto a carico del fideiussore che intende fare valere la nullità. Può allora concludersi che al garante è almeno chiesto uno sforzo per ottenere la dichiarazione di nullità della clausola fideiussoria.

[1] In ogni nell’istruttoria è stata coinvolta anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

[2] Si veda Cas SS UU n 41994/2021

[3] Si veda la nota precedente

[4] In tal senso Cass. SS.UU., 04/02/2005, n. 2207

[5] In tal senso Cass. SS. UU., n. 2207/2005

[6] In tal senso Cass. n. 2305 2007.

[7] In tal senso Cass n.13846 22/05/2019, 6

[8] Sulla stessa line anche la sentenza del Tribunale Monza n 23/2021.

[9] Cass. n.13846/ 2019