Alcune osservazioni sulla portata della sentenza della Corte di Giustizia UE n. 693 del 17/05/2022

Premessa. La Corte di Giustizia UE con la sentenza n.693 del 17/05/2022 ha statuito un principio che avrà un indubbio rilievo nelle procedure esecutive basate sul titolo costituito da un decreto ingiuntivo non opposto, laddove ci si trovi di fronte a contestazioni legate alla sussistenza di clausole abusive/vessatorie nei confronti di un consumatore[1]. Nelle righe che seguono si analizzerà detta pronuncia e si procederà a ricostruire il quadro normativo su cui è basata.

I La tutela del consumatore verso le clausole abusive.

1.1 Il primo caposaldo del presente ragionamento parte dal rilievo, normativo e giurisprudenziale, che il sistema di tutela istituito con la direttiva 93/13 si fonda sull'idea che il consumatore si trovi in una posizione di inferiorità nei confronti del professionista[2]. In conseguenza l’art articolo 6, paragrafo 1, della direttiva dispone che la normativa nazionale debba prevedere che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolino il consumatore, restando il contratto per il resto vincolante sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive[3]. In forza di questa disposizione imperativa, tesa a realizzare un equilibrio reale ed a ristabilire l'uguaglianza tra tali parti, il giudice nazionale è tenuto a accertare d'ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale che ricade nell'ambito di applicazione della direttiva 93/13[4].

1.2 A livello comunitario sono considerate abusive/vessatorie le clausole che determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. A livello domestico il decreto legislativo del 6 settembre 2005, n. 206 (codice del consumo) provvede ad individuare, all’art 33 le clausole abusive/vessatorie. Anzitutto al primo comma richiama la definizione di cui sopra considerando vessatorie quelle che provocano uno squilibrio, la vessatorietà in questo caso deve essere accertata caso per caso. Al secondo comma sono individuate una serie di figure nelle quali la vessatorietà è presunta si tratta di situazioni nelle quali vengono riconosciuti vantaggi al professionista o imposti svantaggi al consumatore. Si tratta di una presunzione superabile (ai sensi dell’art 34) anzitutto laddove il professionista dimostri che tenuto conto della concreta situazione manchi il carattere vessatorio. Inoltre la presunzione può essere superata laddove il professionista dimostri che l’adozione della stesse sia stata oggetto di trattativa. L’art 36 dispone che alcune tipologie di clausole che abbiano un contenuto particolarmente sfavorevole per il consumatore[5] sono nulle quantunque anche laddove siano state oggetto di trattativa.

1.3 Infine tale norma dispone che la nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d'ufficio dal giudice. Sin qui si delinea un quadro volto a dare al consumatore una tutela efficace nel corso delle procedure giudiziarie.

II La preclusività della cosa giudicata.

2.1 Il secondo caposaldo del ragionamento riguarda l’efficacia del giudicato. L'articolo 2909 del codice civile dispone che l'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti. Rapportando questi principi alla procedura d’ingiunzione si può affermare che il decreto ingiuntivo che non sia stato oggetto di regolare opposizione acquista autorità di cosa giudicata. Sia in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo in tal modo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda. Così realizzando il giudicato implicito in base al quale il giudice che si è pronunciato su una determinata questione abbia necessariamente risolto tutte le altre questioni preliminari.

2.2 Principi questi presenti anche nel diritto comunitario infatti la stessa sentenza qui analizzata provvede a ricordare: “l'importanza che il principio dell'autorità di cosa giudicata riveste sia nell'ordinamento giuridico dell'Unione sia negli ordinamenti giuridici nazionali”[6]. In conseguenza in base al principio del giudicato nel caso in cui sia iniziata un’azione esecutiva avente come titolo un Decreto ingiuntivo non opposto il potere del giudice sarebbe limitato al mero controllo dell'esistenza del titolo esecutivo e non potrebbe estendersi al controllo del contenuto intrinseco dello stesso.

III La prevalenza del diritto del consumatore.

3.1 Qui si pone la questione oggetto della sentenza. La riflessione parte dal rilievo che la direttiva 93/13 (al ventiquattresimo considerando) stabilisce che “le autorità giudiziarie e gli organi amministrativi degli Stati membri devono disporre dei mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l'inserzione delle clausole abusive contenute nei contratti stipulati con i consumatori”. La pronuncia evidenzia che è poi la disciplina domestica a stabilire il modo in cui il giudice nazionale deve assicurare la tutela di tali diritti dei consumatori. Nondimeno l’autonomia degli stati membri non è assoluta infatti le norme nazionali non devono rendere nei fatti impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell'Unione (principio di effettività) inoltre tali norme non devono essere meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza)[7].

3.2 In conseguenza si deve stabilire se tali esigenze di tutela impongano al giudice di controllare l'eventuale carattere abusivo di clausole contrattuali dispetto della normativa che prevede l’intangibilità del giudicato. Laddove ci si trovi di fronte ad una decisione giudiziaria che astrattamente definisce la materia ma non contenga valutazioni in ordine alla eventuale sussistenza di clausole vessatorie. Al riguardo la giurisprudenza, che è già intervenuta su questioni simili (ed in ordine all’ordinamento di altri stati), ha fissato il principio in base al quale il giudicato può essere superato quando la decisione formatasi non rispetta i principi di equivalenza e di effettività il cui rispetto, come visto sopra, limita l’autonomia degli stati membri.

3.3 Chiariti questi aspetti è possibile concentrarsi sulla questione specifica affrontata nella sentenza in oggetto, vale se a dire a fronte dell’istaurazione di una procedura esecutiva basata su un titolo esecutivo costituito da un decreto ingiuntivo non opposto, il giudice di tale procedura possa essere chiamato a conoscere dell’eventuale abusività delle clausole relative al contratto concluso tra le parti. È appena il caso di ricordare come il diritto nazionale in linea generale non consenta al giudice dell'esecuzione di riesaminare un decreto ingiuntivo avente autorità di cosa giudicata. Quindi, riprendendo il ragionamento di cui sopra, i giudici comunitari si sono chiesti se tale autorità copra l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto di fideiussione. Va precisato che la questione si pone per il caso in cui manchi qualsiasi esame espresso della questione, da parte del giudice che ha emesso tale decreto ingiuntivo in caso contrario il giudicato costituirebbe un vincolo invalicabile e non vi sarebbe alcuna discussione[8].

3.4 La Corte ha applicato il principio espresso al punto 3.2 che vede la recessività del giudicato laddove ci si trovi di fronte alla necessità di rispettare i principi di equivalenza e di effettività. La sentenza in ordine all’equivalenza specifica che l’ordinamento domestico non consente di superare il giudicato in presenza di particolari situazioni quali ad esempio la violazione delle norme nazionali di ordine pubblico (nelle quali la giurisprudenza comunitaria fa rientrare le disposizioni poste a tutela dei consumatori), e quindi non ci si troverebbe di fronte ad un trattamento più sfavorevole per il consumatore. Diverso è il discorso riferito al principio dell’effettività la Corte pur osservando che il rispetto del principio di effettività non possa giustificare la completa passività del consumatore interessato[9] ha previsto che “in assenza di un controllo efficace del carattere potenzialmente abusivo delle clausole del contratto di cui trattasi, il rispetto dei diritti conferiti dalla direttiva 93/13 non può essere garantito”[10]. In buona sostanza il diritto attribuito ai consumatori dalla direttiva è ritenuto prevalente rispetto a quello alla certezza dei rapporti garantito dal giudicato, e quindi una condanna deve essere basata su una preventiva analisi delle problematiche in oggetto i cui esiti devono essere esplicitati nel provvedimento giurisdizionale. Così fissando il seguente principio “Ne consegue che, in un caso del genere, l'esigenza di una tutela giurisdizionale effettiva impone che il giudice dell'esecuzione possa valutare, anche per la prima volta, l'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto alla base di un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore e contro il quale il debitore non ha proposto opposizione”.

IV Osservazioni di sintesi.

4.1 Una volta ricostruita la fattispecie vale la pena di compiere alcune riflessioni di sintesi. Vanno anzitutto considerate le conseguenze della sentenza in esame sulle procedure esecutive. Infatti si appalesa il rischio che le stesse vengano ritardate a fronte della richiesta del debitore/consumatore, esplicitata con l’opposizione, di vedere accertata l’eventuale abusività delle clausole. Paradossalmente la mancata opposizione al decreto ingiuntivo rischia di rendere più complessa, o quantomeno più disordinata la procedura di recupero del credito. In punto di diritto la richiesta di analizzare la legittimità delle clausole può essere fatta solo da chi assommi la figura del debitore a quella del consumatore ed a fronte della lamentata presenza delle specifiche clausole individuate dal codice del consumo. Quindi ci si trova in un perimetro limitato, nondimeno per gravare sulla procedura esecutiva è sufficiente che venga presentata un’opposizione al di là della sua fondatezza. Un indubbio peso sul punto rivestirà la decisione in ordine alla sospensiva di cui all’art 624 cpc., anche se in caso di mancata concessione della sospensione, per il creditore si palesa un rischio risarcitorio, laddove la sentenza che riconosce la presenza di clausole abusiva intervenisse dopo la vendita del cespite.

4.2. La sentenza pone altresì una questione di carattere sistematico infatti le modalità di emissione di un decreto ingiuntivo non prevedono che lo steso venga motivato e quindi che venga esplicitata la mancanza di clausole abusive, come richiesto dalla giurisprudenza comunitaria. Da un lato non è detto che il giudice proceda ad una siffatta analisi posto che è il creditore ad allegare la documentazione necessaria e (ritenuta) sufficiente per ottenere l’accoglimento del ricorso e quindi questa potrebbe non consentire una ricostruzione sul punto. Inoltre anche a fronte del deposito dei documenti e della loro analisi di norma il giudice non motiva il provvedimento. Quindi il decreto ingiuntivo non sia stato opposto si presenta il rischio di un’opposizione in sede di esecuzione.

4.3 Va poi considerato che al di fuori della questione specifica qui trattata, inerente alla mancata opposizione ad un decreto ingiuntivo, la giurisprudenza comunitaria analizzata ha applicato il principio che consente il riesame, anche a fronte di sentenze di merito che non hanno accertato e motivato in ordine a delle clausole abusive. Al riguardo si richiama la già citata sentenza Banco Primus C-421/14, EU:C:2017:60 che ha considerato il caso in cui nell’ambito di una precedente processo che ha portato all’adozione di una decisione munita di autorità di cosa giudicata, il giudice sia limitato ad esaminare solo talune delle clausole contrattuali. Al riguardo ha statuito che il giudice interessato della questione in una procedura successiva (ad esempio in sede di esecuzione) sarà legittimato “a valutare, su istanza delle parti o d’ufficio qualora disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, l’eventuale carattere abusivo delle altre clausole di detto contratto”.

4.4 In buona sostanza la giurisprudenza della Corte di Giustizia Eu crea un’evidente incertezza che potrebbe essere superata tenendo una condotta prudenziale e per certi versi innaturale, e cioè portare all’attenzione del giudice degli aspetti potenzialmente negativi. In altri termini chiedendo una pronuncia al Giudice in ordine ad espetti che di norma è il debitore ad avere interesse a sollevare. Quindi il creditore dovrebbe chiedere al giudice in sede di ricorso per decreto ingiuntivo ed al giudice delle cause di cognizione di accertare la mancanza di clausole abusive/vessatorie.

[1] Vale a dire di qualsiasi persona fisica che agisce per fini che non rientrano nel quadro dell'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta.

[2] Si veda la sentenza del 26 gennaio 2017, Banco Primus, C-421/14, EU:C:2017:60, punto 40

[3] Si vedano le sentenze del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C-154/15, C-307/15 e C-308/15, EU:C:2016:980, punti 53 e 55, e del 26 gennaio 2017, Banco Primus, C-421/14, EU:C:2017:60, punto 41).

[4] Si vedano le sentenze del 14 marzo 2013, Aziz, C-415/11, EU:C:2013:164, punto 46 e giurisprudenza ivi citata; del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C-154/15, C-307/15 e C-308/15, EU:C:2016:980, punto 58, e del 26 gennaio 2017, Banco Primus, C-421/14, EU:C:2017:60, punto 43).

[5] Vale a dire quelle che portano a a) escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un'omissione del professionista; b) escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista o di un'altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista; c) prevedere l'adesione del consumatore come estesa a clausole che non ha avuto, di fatto, la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto.

[6] Si vedano le sentenze del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones, C-40/08, EU:C:2009:615, punti 35 e 36, e del 26 gennaio 2017, Banco Primus, C-421/14, EU:C:2017:60, punto 46)

[7] Si veda la sentenza del 26 giugno 2019, Addiko Bank, C-407/18, EU:C:2019:537, punti 45 e 46

[8] Si veda la sentenza del 26 gennaio 2017, Banco Primus (C-421/14, EU:C:2017:60), punto 49

[9] Sentenza del 1° ottobre 2015, ERSTE Bank Hungary, C-32/14, EU:C:2015:637, punto 62.

[10] Si veda la sentenza del 4 giugno 2020, Kancelaria Medius, C-495/19, EU:C:2020:431, punto 35

 


Un’interessante sentenza del Tribunale di Monza limita le conseguenze dell’adozione di una fideiussione basata sul modello elaborato dall’ABI nel 2002.

Una recente sentenza del Tribunale di Monza emessa il giorno 8 luglio del 2022 n. 1593/2022 è intervenuta, fornendo spunti interessanti, sulla annosa e “famigerata” questione legata alla sorte degli impegni assunti in forza di una fideiussione che contenga clausole aventi un contenuto simile a quello del modello elaborato dall’ABI. Vale allora la pena di compiere alcune sintetiche riflessioni, partendo dall’inquadramento della questione per poi considerare il contenuto specifico della sentenza.

  1. La condotta anticoncorrenziale. La vicenda trae origine dal fatto che nell'ottobre del 2002, l'ABI (Associazione Bancaria Italiana) ebbe a predisporre uno “schema negoziale tipo” per la fideiussione a garanzia di operazioni bancarie, questo fu comunicato alla Banca d'Italia che all’epoca svolgeva funzioni antitrust in relazione al settore bancario[1]. Questa (col provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005) concluse che tale schema presentava alcune clausole, in particolare quelle di cui agli articoli 2 (clausola di reviviscenza), 6 (clausola di sopravvivenza) e 8 (rinuncia al termine decadenziale di cui all’art. 1957 c.c) idonee a restringere la concorrenza. In particolare, laddove vengano applicate in modo diffuso, sono da considerarsi in contrasto con la Legge Antitrust n. 287 del 1990, il cui art. 2 vieta le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare la concorrenza. Tale norma nel disporre che gli accordi vietati sono nulli non ha ritenuto riferirsi solo alle "intese" in quanto contratti in senso tecnico ma a qualsiasi condotta volta a realizzare la distorsione della concorrenza, tanto che la tutela è stata riferita anche alle ipotesi in cui l'impresa che ha stipulato un contratto a valle con il consumatore, non abbia partecipato all'intesa a monte.

In buona sostanza è sufficiente che abbia inteso approfittare della stessa.

  1. La nullità riguarda solo le clausole censurate dall’ABI. Un’altra discussione ha riguardato la determinazione del perimetro della nullità, essendo sorto il dubbio se la stessa debba riferirsi alla totalità della fideiussione oppure solo alle clausole oggetto del provvedimento della Banca d’Italia. Tale seconda interpretazione che individua la nullità parziale ai sensi dell’art 1419 del codice civile ha avuto il sopravvento[2]. Sul ragionevole presupposto che il contratto sarebbe comunque stato sottoscritto anche in assenza delle clausole contestate, di certo il garante non può lamentarsi del fatto che la fideiussione sia depurata da disposizioni per lui lesive. D’altro canto la banca ha interesse a mantenere in essere la fideiussione seppur limitata nella sua efficacia. Si osservi che secondo la prevalente giurisprudenza[3] è posto a carico di chi ha interesse a delineare la nullità dell’intero contratto l’onere di fornire la prova dell'interdipendenza tra le clausole in oggetto e l’intero contratto (o nel caso la fideiussione) tale da escludere che in mancanza di queste vi sarebbe stata la sottoscrizione.
  2. Le ricadute sui singoli contratti. Definita l’illegittimità della condotta sotto il profilo della disciplina concorrenziale si tratta di comprendere quale ricaduta abbia sulle fideiussioni stipulate a valle. La giurisprudenza all’inizio ha escluso una tutela ai consumatori, per poi ammetterla ma solo di tipo risarcitorio. Salvo riconoscere una tutela reale, con conseguente nullità dell’accordo fideiussorio, sul rilievo che la tutela della libertà di concorrenza deve avere come destinatari chiunque abbia un interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo del mercato. Non v’è dubbio che il contraente finisce col soffrire degli effetti della limitazione delle tipologie di fideiussioni conseguente all’accordo[4], posto che il soggetto che necessita di essere garantito e quindi di conseguenza il garante, non possono individuare la soluzione ritenuta più proficua. Si noti che secondo la giurisprudenza il far valere la nullità ha ricadute positive non solo nell'interesse esclusivo del singolo, bensì in quello della trasparenza e della correttezza del mercato, così collegando l’azione (amministrativa) a monte e quella (civilistica) a valle. In buona sostanza i contratti a valle di accordi contrari alla normativa antitrust partecipano della stessa natura anticoncorrenziale dell'atto a monte, e vengono ad essere inficiati dalla medesima forma di invalidità[5]. Tanto che la giurisprudenza ha affermato che “teorizzare la profonda cesura tra contratto a monte e contratto a valle, per derivarne che, in via generale, la prova dell'uno non può mai costituire anche prova dell'altro, significa negare l'intero assetto, comunitario e nazionale, della normativa antitrust, la quale (4 è posta a tutela non solo dell'imprenditore, ma di tutti i partecipanti al mercato"[6]. Un ulteriore elemento è dato dal peso attribuito agli accertamenti compiuti dalla Banca d’Italia ai quali è riconosciuta una elevata attitudine a provare tanto la condotta anticoncorrenziale, quanto l'astratta idoneità della stessa a procurare un danno ai consumatori e consente di presumere[7].
  3. La sentenza del Tribunale di Monza, la rilevanza del nesso di causalità. Può tranquillamente affermarsi che ci si trovi di fronte ad un quadro non certo favorevole alle banche che rischiano di vedere invalidate, quasi in modo automatico, le clausole fideiussorie. Resta tuttavia da compiere una riflessione nella quale si inserisce la sentenza qui considerata, che ha l’indubbio merito di raccordare il quadro giurisprudenziale formatosi in relazione alla specifica questione fin qui analizzata con alcuni fondamentali principi: ci si riferisce all’onere della prova al nesso di causalità. La sentenza in oggetto[8] parte dal rilievo che “la violazione della normativa anticoncorrenziale costituisce un fatto ulteriore e distinto rispetto al contenuto delle singole clausole che restano di per sé valide e legittime, poiché relative a norme derogabili”. Deve infatti osservarsi che le clausole non presentano intrinseci profili d’illegittimità rapportabili al loro contenuto, le censure derivano dalla loro applicazione “diffusa” che ha impedito al fideiussore di effettuare una scelta libera tra le possibili alternative. In mancanza di un’applicazione massiva e quindi idonea ad impedire una scelta del modello di fideiussione ci si troverebbe di fronte ad un legittimo rapporto contrattuale. Da qui la necessità di accertare che all’epoca della firma della garanzia mancasse questa libertà di scelta giacché altrimenti verrebbe meno il nesso causale tra la condotta posta in essere a monte (l’attività dell’ABI) e la fideiussione stipulata a valle. In buona sostanza deve accertarsi che la limitazione della concorrenza debba sussistere anche al momento della stipula dell’accordo altrimenti il nesso di causalità sarebbe inesorabilmente interrotto. Al riguardo nei casi (come quello oggetto dell’odierna attenzione) in cui la garanzia sia stata sottoscritta successivamente all’ accertamento della Banca d’Italia non potrà farsi automaticamente riferimento a questo che si riferisce ad un diverso periodo storico, al contrario la situazione dovrà essere dimostrata. La sentenza ricorda che: “D’altronde, perché il meccanismo dell’invalidità derivata possa trasmettersi dalla violazione anticoncorrenziale ai sottostanti contratti a valle è necessario accertare preliminarmente l’esistenza di un nesso di stretta interdipendenza con l’intesa a monte idoneo ad incidere sulla regolare dinamica della contrattazione individuale ed elidere la libertà negoziale dei singoli contraenti”.
  4. La sentenza del Tribunale di Monza, l’onere della prova. Ulteriore conseguenza di questa ricostruzione è l’allocazione dell’onere della prova in capo al soggetto che fa valere in giudizio una pretesa, nel rispetto del principio fissato dall’art 2967 del codice civile, principio correttamente fissato dalla sentenza in esame anche nel rispetto della giurisprudenza della Cassazione[9] secondo la quale “compete all'attore che deduca un'intesa restrittiva provare il carattere uniforme della clausola che si assuma essere oggetto dell'intesa stessa”. Nel caso di specie l’onere deve essere posto a carico del fideiussore che intende fare valere la nullità. Può allora concludersi che al garante è almeno chiesto uno sforzo per ottenere la dichiarazione di nullità della clausola fideiussoria.

[1] In ogni nell’istruttoria è stata coinvolta anche l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

[2] Si veda Cas SS UU n 41994/2021

[3] Si veda la nota precedente

[4] In tal senso Cass. SS.UU., 04/02/2005, n. 2207

[5] In tal senso Cass. SS. UU., n. 2207/2005

[6] In tal senso Cass. n. 2305 2007.

[7] In tal senso Cass n.13846 22/05/2019, 6

[8] Sulla stessa line anche la sentenza del Tribunale Monza n 23/2021.

[9] Cass. n.13846/ 2019

 


Rapporti tra PPP e PNRR in tema di efficientamento energetico

Riportiamo qui il riassunto dell'intervento al VIII Workshop CESEF dell'Avv. Sergio Cesare Cereda - Milano, 03 marzo 2022

Il PNRR in questo momento storico sta catalizzando l’interesse generale, è allora normale chiedersi come lo stesso possa incidere sulle attività di efficientamento energetico della Pubblica amministrazione. In particolare quale sia il rapporto con la figura del Partenariato pubblico privato, che costituisce un’efficace modalità per eseguire tali interventi.

Il ricorso al PPP garantisce all’ente concedente un duplice vantaggio: evita di dover investire le somme richieste dagli interventi di riqualificazione e pone a carico del privato il rischio in relazione ai risultati degli interventi. Inoltre in tal modo l’ente pubblico utilizza le rilevanti competenze tecniche degli operatori privati, beneficio ancora più evidente nelle ipotesi di Partenariato ad iniziativa privata.

Come si prospetta la finanza di progetto in presenza dei finanziamenti di cui al PNRR?

La stessa mantiene le sue potenzialità nel caso i contributi pubblici non siano sufficienti a coprire tutti gli oneri degli interventi, e questo è il quadro che in concreto si prospetta in forza del PNRR. Infatti le misure previste in relazione all’efficientamento energetico dei comuni hanno un impatto limitato e di certo insufficiente a coprire il fabbisogno. L’art 1 della legge del 27/12/2019 n. 160 regola l’attribuzione, a pioggia, di contributi ai comuni per i cosiddetti piccoli interventi, ogni comune è certo di ricevere dei finanziamenti ripartiti su più anni ma in misura insufficiente a sostenere efficaci interventi di efficientamento. Mentre l’art 1 della legge del 30/12/2018 n.145 regola l’attribuzione di contributi ai comuni per i cosiddetti medi interventi, in questo caso gli importi riconosciuti sono più rilevanti ma limitati ad alcuni interventi selezionati.

In realtà le somme rinvenienti dal PNRR costituiscono un asset parziale e, come qualsiasi contributo pubblico, possono incidere sul quadro economico finanziario dell’intervento migliorando i parametri per il committente, ad esempio aumentando gli interventi offerti oppure diminuendo l’importo del canone o la durata della concessione. Se ad esempio le condizioni di partenza prevedono la manutenzione e gestione anche di uno stabile, sul quale successivamente (grazie ai finanziamenti) vengono svolti sull’involucro degli interventi di efficientamento, a fronte del miglioramento delle condizioni di esercizio dovrà essere prevista una riduzione del canone.

Appare allora opportuno raccordare le regole del partenariato con i finanziamenti derivanti dal PNRR, in concreto si dovrà agire sui meccanismi contrattuali. Laddove i finanziamenti siano certi (si pensi a quelli a pioggia) si terrà conto degli stessi sin dal momento della predisposizione della gara, inserendoli nel piano economico finanziario.

Se invece il finanziamento non è certo ma solo possibile, il progetto (iniziale) dovrà essere determinato senza tenerne conto, ma deve esserne prevista una modifica a fronte della futura possibilità di realizzare gli interventi finanziati. Interventi che migliorando le condizioni di prestazione del servizio consentono di intervenire sugli indicatori economici dell’operazione.

In concreto potrà prevedersi che gli interventi (aggiunti) siano realizzati direttamente dal concessionario, oppure che siano realizzati dall’ente pubblico (attraverso normali procedure di appalto) e poi messi a disposizione del concessionario che si prenderà in carico la gestione degli immobili e degli impianti così efficientati.

Lo stesso modello giuridico economico può essere riferito ad una diversa modalità di finanziamento: il Conto Termico erogato dal GSE. Trattasi di uno specifico strumento di incentivazione dettato per gli interventi di efficientamento energetico (esclusa l’illuminazione pubblica). Si osservi che lo stesso ha un peso economico ancor più rilevante, arrivando a coprire almeno il 65% degli investimenti.

Anche in questo caso si tratta di coordinare il rapporto concessorio con gli incentivi. La normativa prevede due distinte modalità di erogazione. Il finanziamento a consuntivo, che prevede l’erogazione del sostegno una volta che i lavori siano terminati ed a condizione che permanga una disponibilità di fondi in capo al GSE. Quindi la figura presenta elementi d’incertezza in ordine all’ottenimento della sovvenzione ed è assimilabile al finanziamento “incerto” di cui s’è detto sopra. È poi previsto il finanziamento a prenotazione nel quale è possibile conseguire la certezza del finanziamento sin dal momento in cui la prenotazione è accettata. In questo caso le problematiche nascono dalla (eccessivamente) ristretta tempistica per la realizzazione dei lavori.

 


Alienazione cespiti di distribuzione gas naturale degli enti locali: dalla normativa al Ddl per la loro valorizzazione

Focus sulla sentenza Tar Venezia n. 1054/2021

Il dibattito giurisprudenziale verrà a breve presumibilmente meno, infatti nell'ambito del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza del 2021 è prevista la regolazione puntuale della materia, disponendo che la vendita avvenga al valore di VIR. Nondimeno si ritiene utile ripercorrere la questione che ha posto molti interrogativi agli enti locali.

Articolo scritto dal Partner Avv. Sergio Cesare Cereda e pubblicato sul sito NT Plus Diritto de Il Sole 24 Ore:

https://ntplusdiritto.ilsole24ore.com/art/alienazione-cespiti-distribuzione-gas-naturale-enti-locali-normativa-ddl-la-loro-valorizzazione-AEsFeXx